crossfire - documentario

Questa è la storia di tre uomini, Andrea Rocchelli, Andrei Mironov e Vitaly Markiv, le cui vite si incrociano tragicamente un pomeriggio del 2014 a Sloviansk, nell’inferno del Donbas in guerra. 

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Periferia di Sloviansk, Maggio 2014 - Miliziani separatisti appostati alla front line di Karachun. A pochi metri di distanza, il 24 maggio sarebbero stati uccisi i due reporter
©Andrea Carrubba

Si vocifera di un attacco imminente alla città. Il 24 maggio, la mattina presto si odono i boati dell’artiglieria pesante, forse è il giorno decisivo. Andy e Andrei, insieme a William Roguelon un giovane fotografo con poca esperienza dell’area, decidono di andare al passaggio a livello, trasformato in postazione dalle milizie separatiste. E’ un posto pericoloso. Ormai evitato da tutti i colleghi giornalisti giunti da ogni parte del mondo.

Un vagone merci è posizionato sul passaggio come barricata. Ostruisce il passaggio verso la collina dove si trovano i soldati ucraini e fornisce una scenografia ideale per fotografare i combattimenti. Da quel luogo Andrea e Andrej non torneranno più, uccisi da un colpo di mortaio. William, ferito e in preda al panico, riesce a scappare, senza capire che cosa sia successo ai loro compagni.

A commentare i fatti il giorno dopo sul corriere della sera online è proprio il soldato Vitaly Markiv. Una giornalista freelance ascolta una telefonata fatta da un collega al soldato e riporta, con dei virgolettati, alcune dichiarazioni di Vitaly.

Passano tre anni, e nel luglio 2017, il soldato, in licenza, viene catturato dal Ros (Reparto Operativo Speciale) dei Carabinieri appena atterrato all’aeroporto di Bologna. L’articolo viene utilizzato come ‘confessione stragiudiziale’. È incredulo. Quasi ride mentre lo arrestano. Markiv è il mostro che ha ucciso dei giornalisti. Lui tra centoquaranta soldati presenti sulla collina. Ed è anche l’unico ad avere la doppia cittadinanza. E il suo telefonino - come quello di tutti i soldati in guerra - è pieno di foto di armi, mimetiche e prigionieri di guerra. Rimane in carcere due anni in attesa del processo.

Nel luglio 2019 arriva la sentenza, con una condanna esemplare a ventiquattro anni comminata dalla corte d’Assise di Pavia. Un monito: i giornalisti non si uccidono. Ma il processo, è basato solo su prove indiziarie. Nessuno fa sopralluoghi in Ucraina e non ci sono elementi che legano il soldato in modo diretto alla morte dei due reporter.

È la prima volta nella storia giudiziaria italiana che un soldato straniero viene processato per un fatto accaduto in un altro paese. Una storia che risveglia cupe memorie in un clima da nuova guerra fredda.

Sono in molti a ritenere la ricerca delle prove fallace e a pensare che la sentenza sia stata influenzata da una forte pressione mediatica ed emotiva. Non vengono cercati altri due testimoni chiave, sopravvissuti all’attacco. Le tecniche investigative sono superficiali e spesso inquinate da propaganda e da ricerche online fatte male, senza verificare le fonti.

Si può dire che la verità processuale corrisponda a quella dei fatti? 

Un team internazionale di giornalisti, all’indomani della sentenza, avvia un’inchiesta giornalistica innovativa e originale alla ricerca proprio di quelle prove. Con il supporto di uno studio ingegneristico e con l’impiego di un drone, realizza un modello 3D dell’area. 

I due superstiti della tragedia, l’autista del taxi e un civile, vengono rintracciati e intervistati. All’interno di un poligono militare vengono effettuate delle prove di tiro con i vari tipi di arma che il battaglione aveva a disposizione all’epoca.

Vengono rintracciati e intervistati decine tra giornalisti e civili che in quei giorni hanno visto, incontrato e lavorato con i due fororeporter uccisi. 

Perché si sono recati lì? Cosa c’era da fotografare a quel maledetto passaggio ferroviario? Cos’è successo, chi ha sparato?

Nel frattempo, in Italia, a Milano si apre il processo di appello in cui viene assolto per non aver commesso il fatto.

riferimenti visivi

Lo stile del documentario sfrutta tutte le opportunità offerte dalla tecnologia odierna. Si tratta di una storia complessa e articolata, che racconta situazioni diverse, per questo motivo è stato scelto di utilizzare diversi stili di linguaggio cinematografico: il thriller giudiziario, attraverso una fotografia di chiaro scuro elegante e sobria; la guerra e i suoi fotoreporter, con immagini sporche, immediate, riprese in ambienti vividi consoni alla loro condizione di precarietà; i familiari dei protagonisti ripresi in ambiti casalinghi con una luce morbida e diffusa per raccontare tutta la speranza e il bisogno di verità; i civili ucraini che raccontano di quei giorni e che hanno conosciuto i protagonisti, sono ripresi con gli stilemi del reportage, camera a spalla e luce naturale. Queste differenti scelte, non solo caratterizzano il film, ma aiutano anche lo spettatore a comprendere meglio i passaggi da una situazione all’altra.

Ci sono poi le riprese slavate dei luoghi dove la storia si è svolta sul territorio ucraino dal look anni ‘70, gli anni nei quali pare tutto si sia fermato. 

Si useranno anche illustrazioni e animazioni. Le illustrazioni avranno un tono da graphic novel realistico, dove il bianco e il nero sono preponderanti ma ammorbiditi da tenui toni acquerello, e serviranno per lo svolgersi del racconto dove le immagini vere non sono disponibili, hanno un’intenzione di cronaca. Lo stile è quello del fumettista Vittorio Giardino.

Le animazioni saranno più sature, e verranno utilizzate in maniera più drammatica, saranno immagini più complesse, e racconteranno non dettagli, ma scene più elaborate. Utilizzeremo una tecnica che ci permette di muovere il parallasse non solo tramite uno zoom in o out, ma anche attraverso un movimento laterale simulando un carrello e la profondità 3D. Le animazioni marcheranno l’inizio di ogni capitolo, e torneranno - simili, ma non uguali - per svelare nuovi dettagli, nuovi particolari elementi che scopriremo durante l’indagine.

Inoltre è stata realizzata anche una mappa 3D dell’intera area dove si sono svolti i fatti. La grafica ci consentirà di visualizzare tutto quello che è impossibile mostrare di questa storia dando anche un’interpretazione sentimentale della situazione.


A piazza Maidan, a Kiev, tra novembre 2013 e febbraio 2014 un popolo è in piazza contro il proprio presidente, il vassallo di Putin, Viktor Yanukovich. È in gioco la libertà di un Paese. I manifestanti chiedono di procedere con gli accordi di integrazione con l’Unione Europea, mentre i vertici politici vogliono riavvicinarsi alla Russia. Le manifestazioni raccolgono centinaia di migliaia di persone. La reazione delle forze dell’ordine è straordinariamente violenta. 

Gennaio 2014. In piazza c’è Andy Rocchelli, trent’anni, racconta questo evento storico attraverso la sua macchina fotografica. È tra i primi ad accedere al palazzo di Viktor Yanukovich subito dopo la sua fuga. Fondatore dell’agenzia fotografica Cesura, è un giovane di talento, figlio della buona borghesia di Pavia. 

Andrei Mironov, attivista russo per i diritti umani, negli anni ‘80 finito nei gulag, per molti giornalisti italiani è una vera e propria guida attraverso la martoriata storia delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Anche lui è a Maidan, per organizzare l’intervista a Yulia Timoshenko una dei leader dell’opposizione a Yanukovich. 

Vitaly Markiv, 25 anni figlio di un’operaia ucraina emigrata in Italia, di nascosto da sua madre, da dicembre è insieme ai manifestanti. Fa parte delle forze civili di autodifesa. Lo riconosce da una fotografia che gli manda una conoscente. La testa fasciata, il sangue sulle bende dopo uno scontro con la polizia.


Nel febbraio 2014, Euromaidan, così si chiama la rivoluzione ucraina, vince. Centinaia di morti rimangono sul terreno, migliaia i feriti. Il governo vicino a Mosca cade e il presidente Yanukovich fugge in Russia. La reazione del Cremlino è dura: la Crimea viene militarmente occupata nell’est del paese, in Donbas, le regioni di Donetsk e Sloviansk vengono tolte al governo centrale da militanti armati senza volto guidati da ex militari russi, come Igor Girkin, alias Strelkov, ex colonnello dell’Fsb russo, veterano della Cecenia, ora a capo delle forze armate separatiste a Sloviansk. E’ guerra aperta. 

Mironov sa chi è Strelkov, anche lui è stato in Cecenia, non come militare ma come osservatore internazionale. Entrambi veterani ma su fronti opposti. 

Andrei e Andrea si ritrovano insieme diretti verso il Donbas. Andrei sarà il suo interprete, il suo fixer, la Storia da seguire adesso è lì.

Anche Vitaly è in viaggio per Sloviansk. Si arruola volontario nella Guardia Nazionale Ucraina e dopo poco più di un mese di addestramento, viene mandato in Donbas. Qui incontra alcuni giornalisti italiani che lo avevano conosciuto a Maidan. Diventa un riferimento per i media. Parla italiano, è un soldato ed anche uno a cui piace mettersi in mostra. 

Andi è un reporter scaltro e grazie a Mironov, sta realizzando un ottimo reportage fotografico: documenta le condizioni dei civili intrappolati tra i due fuochi. 

Ma serve di più. Servono le foto dei combattimenti. Da giorni c’è un punto in particolare che lo attira, vede le foto dei colleghi delle agenzie più importanti: c’è un passaggio a livello poco fuori città intorno al quale, da settimane, le milizie separatiste e l’esercito ucraino stanno combattendo aspramente. È l’ultima barricata per i separatisti per impossessarsi dell’antenna TV sotto al quale l’esercito e la guardia nazionale sono assediati. È una battaglia cruciale. Una battaglia per la propaganda. I russi hanno bisogno di farla, gli ucraini di evitarla.